Quarta d’autore N° 4

 

 

 

Stefano Carrai presenta Viola di morte

Viola di morte è la prima raccolta poetica di Landolfi, uscita per Vallecchi nel 1972 con in copertina un ritratto dell’autore dipinto appositamente dall’amico Beppe Bongi. Si tratta dunque di un libro abbastanza tardo, ma non lo era la vocazione poetica che gli era alle spalle, tenuta fino ad allora ai margini per la preponderanza della scrittura in prosa. Il sonetto d’apertura del libro difatti è esplicitamente datato al 1920, cioè alla prima giovinezza, e i testi poetici che esso raccoglie solo oltre trecento.

La poetica landolfiana risulta appartata rispetto a quella del cenacolo delle Giubbe Rosse da lui frequentato assiduamente durante gli anni Trenta e Quaranta, e si misura soprattutto con la grande tradizione che va da Dante e Petrarca a Leopardi e Montale. Verso tali precedenti Landolfi poeta tiene un atteggiamento spesso dissacrante, ma a tratti anche francamente emulativo. Una certa sintonia si registra nei confronti del décalage montaliano affidato alle poesie di Satura, formatosi all’incirca nello stesso arco di tempo e apparso appena un anno prima. Pur nelle sue asperità satiriche, ad ogni modo, la silloge poetica puntava sempre a quella «lingua prestigiosa» che Contini ha rilevato al fondo dell’arte di Landolfi narratore. La scelta delle parole è orientata perlopiù verso termini di stile alto e di ascendenza letteraria: Landolfi non ha timore, anzi, di misurarsi con il lessico poetico più trito e consunto, e con l’ambizione di rifunzionalizzarlo e di rivitalizzarlo. La metrica è libera, tanto che le forme chiuse rappresentano delle eccezioni. I temi portanti sono quelli del dissidio fra morte e vita, del dolore, del desiderio e del sesso, di un bisogno d’amore disperato, ma aprendosi anche all’attualità, come nel caso dell’allunaggio del 1969. Ad un vero e proprio ciclo di liriche ispirate ad un amore acre, di lontananza, dedicate alla donna adombrata sotto il nomignolo di Maledetta e collocate nella zona centrale del libro, rispondeva nel finale un andamento dichiaratamente diaristico. Ne risultano un tono spesso caustico e disincantato, un umore lunare e visionario che inclina verso la prefigurazione della propria morte e verso un nichilismo non temperato neppure dalla pratica della poesia, la quale si presenta, nel testo di poetica La poesia, la sola, anch’essa come sfuggente e non gratificante.

 

Stefano Carrai (Firenze 1955) è professore di Letteratura Italiana presso la Scuola Normale di Pisa. È studioso della tradizione letteraria italiana del Medioevo e del Rinascimento, ma si è occupato a lungo anche di autori della modernità: su Svevo ha pubblicato il volume Il caso clinico di Zeno e altri studi di filologia e critica sveviana (Pisa, Pacini, 2010; ed. accresciuta 2021), a Saba ha dedicato una monografia (Roma, Salerno Ed., 2017; e Milano, RCS, 2019).

 

Dopo Viola di morte, sarà la volta de La spada a cura di Michele Farina.

 

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