Alcune recensioni a Idolina Landolfi, «Il piccolo vascello solca i mari»

Alcune recensioni a Idolina Landolfi, «Il piccolo vascello solca i mari». Bibliografia degli scritti di e su Landolfi

 
Di seguito si propone una raccolta di tre recensioni alla grande bio-bibliografia landolfiana (pubblicata qualche mese fa per i tipi della Cadmo: qui il link) scritte da altrettanti giovani studiosi di Landolfi: Raoul Bruni, Daniele Visentini e Paola Roccella.

 

 

TOMMASO LANDOLFI: UNA STORICA SFORTUNA EDITORIALE, DI RAOUL BRUNI
(in «Le parole e le cose», mar. 2015; vers. abbreviata e rimaneggiata già in «Alias/Il Manifesto»)

Ogni appassionato di Tommaso Landolfi sa bene quanto deve a Idolina, la figlia primogenita dello scrittore scomparsa prematuramente nel 2008. A sua volta scrittrice, traduttrice e critica letteraria, Idolina Landolfi dimostrò una dedizione assoluta nei riguardi dell’opera paterna, di cui curò la ripubblicazione prima per Rizzoli (si devono a lei i due fondamentali volumi dell’edizione delle Opere, che purtroppo non poté essere portata a compimento) e poi per Adelphi (accompagnando spesso alle ristampe impeccabili note editoriali). Né si possono dimenticare i convegni di studi e i non pochi contributi critici che consacrò al padre.

A tutto ciò si aggiungono ora due ricchi volumi postumi, editi da Cadmo sotto il titolo «Il piccolo vascello solca i mari». Tommaso Landolfi e i suoi editori – Bibliografia degli scritti di e su Landolfi (1929-2006) (pp. 292 + 379, € 60,00). A dispetto di quanto potrebbero lasciare intendere i sottotitoli, non si tratta di una delle solite opere accademico-erudite, magari utili ma più o meno noiose alla lettura. Lo stesso secondo volume, efficacemente introdotto da Giovanni Maccari, offre una bibliografia, per così dire, non convenzionale, dato che non solo riferisce le coordinate editoriali degli scritti di e su Landolfi, comprese le numerose traduzioni in lingua straniera, ma indica anche il numero delle tirature dei libri e delle copie effettivamente vendute, e dà inoltre conto delle trasposizioni teatrali e cinematografiche. I dati sulle tirature e sulle vendite sono preziosi per ricostruire la, per molti aspetti, sfortunata carriera editoriale di Landolfi, a cui è dedicato il primo volume, per scrivere il quale Idolina ha ampiamente attinto ai carteggi del padre, ancora largamente inediti.

Il destino letterario di Landolfi è segnato, nel male più che nel bene, da Vallecchi, a cui si legò fin dal suo secondo libro (La pietra lunare, 1939). La Casa fiorentina, dopo i fasti primo-novecenteschi, attraversa, specie a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, una lenta ma inesorabile parabola discendente che la trascinerà sull’orlo del fallimento. Invece di accasarsi altrove, come avevano fatto, una volta capita l’antifona, altri celebri scrittori vallecchiani (da Savinio a Gadda, da Palazzeschi a Pratolini), Landolfi rimane un autore Vallecchi fino al 1972. Eppure non gli erano certo mancate le occasioni per passare ad altro, più affidabili e prestigiosi editori, dato che, in veste di traduttore, aveva avuto modo di collaborare anche con importanti Case, a cominciare da Bompiani: negli anni quaranta, la casa editrice milanese gli aveva affidato l’incarico di allestire l’antologia dei Narratori russi e aveva pubblicato il suo romanzo breve Le due zittelle. Come ricorda Idolina, Bompiani, già nel 1946, aveva offerto a Landolfi di pubblicare una raccolta complessiva delle sue opere, mentre Vallecchi, nonostante le sollecitazioni dell’autore, gli stampò una raccolta di questo tipo soltanto parecchi anni dopo (Racconti esce nel 1961). Ma allora perché Landolfi si ostina a rimanere con Vallecchi? La fedeltà, per certi aspetti, masochistica di Landolfi alla Casa fiorentina si spiega in primo luogo con l’alta «etica dell’amicizia», come la definisce Idolina, propria di Tommaso. Tra questi e Enrico Vallecchi si era infatti instaurata una confidenziale complicità che andava ben oltre il normale rapporto scrittore-editore. Tant’è che, dopo aver sperperato i propri soldi al Casinò, lo scrittore poteva permettersi di rivolgersi così al suo editore, chiedendogli immediato soccorso: «presta orecchio a questa mia suprema invocazione! / Ogni tanto (di rado per fortuna) ci ricasco, un po’ per disperazione. Ora mi trovo qui in un pasticcio di quattrini, senza poter pagare l’albergo, senza poter mangiare né partire, senza nulla da impegnare etc. In grazia, editore e amico, mandami cinquantamila lire (50.000). Ti darò qualcosa per la Chimera (una rivista letteraria diretta e stampata da Enrico Vallecchi, ndr) eppoi farò a meno di anticipo quando ti darò il prossimo libro (per il quale ho già qualche idea), insomma sai bene che non ce le rimetterai. / L’invio deve essere telegrafico e diretto all’Hôtel des Etrangers qui a Sanremo. Ti prego, ti scongiuro di non tergiversare, se non vuoi che torni a casa accompagnato dai carabinieri. Conto assolutamente sulla tua cortesia, ma soprattutto sulla tua sollecitudine». Da parte sua, Vallecchi spedisce subito a Landolfi la somma richiesta; l’editore sembra quasi assecondare la propensione dello scrittore verso il gioco d’azzardo, promettendo di procurargli, attraverso le sue conoscenze, la cosiddetta “carta d’onore”, che consenta a Landolfi di entrare gratis nei Casinò (promessa che però non manterrà: come informa Idolina, l’autore ottenne la carta «‘per merito di frequenza’, da un ispettore capo del Casinò, nel novembre 1962»). In compenso Vallecchi si approfitta abbondantemente di questo rapporto privilegiato: non è quasi mai puntuale nei pagamenti, pubblica i nuovi libri di Landolfi nei momenti editorialmente meno propizi (molti libri vengono fatti uscire in piena estate) e, per di più, non ristampa tempestivamente i titoli esauriti (in specie, il folgorante esordio narrativo Dialogo dei massimi sistemi del 1937, ristampato soltanto nel 1961). D’altronde, pur infastidito dalle inadempienze di Vallecchi, Landolfi non fa nulla per, come diremmo oggi, autopromuoversi, anzi: concede pochissime interviste, si rifiuta sistematicamente di andare a ritirare i premi letterari e, dalla fine degli anni cinquanta, impone all’editore di lasciare in bianco i risvolti dei suoi libri. È vero, però, che questa fama di scrittore “intrattabile” aveva creato intorno all’autore un’aura quasi mitica, da cui un editore più abile avrebbe potuto trarre vantaggio, anche in termini di promozione editoriale. Ma ciò non avvenne: la sfortuna editoriale di Landolfi sarebbe continuata anche dopo il passaggio da Vallecchi a Rizzoli (si ricordi, del resto, che anche questa Casa sarebbe entrata in crisi dopo il clamoroso scandalo che coinvolgerà Angelo Rizzoli). Soltanto con l’approdo, ampiamente postumo, all’Adelphi, avvenuto nel 1992, il destino editoriale di Landolfi inizierà gradualmente a risollevarsi.

Se oggi Tommaso Landolfi non occupa ancora il posto che merita nel canone del Novecento italiano (mentre all’estero è paragonato ad autori come Kafka o Čechov), ciò non dipende soltanto dalla natura inconsueta della sua opera e della sua personalità, ma anche da un’infausta sorte editoriale, a cui lo scrittore stesso, mentre era in vita, non poté (o non volle) opporsi.

 

 

RECENSIONE DI DANIELE VISENTINI
(in «Nuovi argomenti», apr. 2015)

Procedo con coraggio perché so che se mio padre avesse avuto bisogno della stessa cura, ciò sarebbe stato per tutt’altra malattia della mia.

(I.Svevo, La coscienza di Zeno)

La pubblicazione di «Il piccolo vascello solca i mari». Tommaso Landolfi e i suoi editori (Edizioni Cadmo, 2015, € 60,00) va considerata come un evento decisivo per tutti coloro che si interessano allo scrittore di Pico. La corposa opera, a cura di Idolina Landolfi, si propone infatti come la prima bio-bibliografia sistematica e completa dell’opera di e su Tommaso Landolfi.

A una prima lettura, i due volumi del Vascello potrebbero apparire né più né meno che come pregevoli strumenti tecnici, o meglio come sussidi necessari (e tanto a lungo agognati) allo studio di Landolfi, della sua vita, della sua opera. Fosse anche per questo soltanto, il loro valore sarebbe comunque indiscutibile. Ma c’è dell’altro.

Come si legge nella quarta di copertina, il primo volume (I. A carte scoperte. L’autore e il traduttore: una biografia di Landolfi attraverso il rapporto coi suoi editori, le riviste, il pubblico, i contemporanei, pp. 292) ospita «una storia dei rapporti editoriali di Landolfi dagli esordi alla morte», in cui «il testo assume il carattere e la leggibilità di una vera e propria biografia». Sin dalle prime pagine del volume risulta chiaro che tale afflato biografico e tale leggibilità, i quali si manifestano in un’analisi appassionata della documentazione e in una certa apertura ai toni narrativi, sono frutto non solo di studio, ma d’un dialogo ininterrotto tra due voci – quella dello scrittore padre, trasfigurato in materia di scrittura; quella della scrittrice figlia, trasfigurata in autrice della biografia paterna.

Accanto a Tommaso c’è sempre Idolina, che è meno e molto di più d’una biografa. «Io non vorrei spiegare tutto», afferma in incipit alla sua introduzione; e subito si corregge, con lo spirito anelante e felicemente contraddittorio che informa l’opera intera: «d’altro canto vorrei: perché questo saggio altro non è se non uno dei miei soliti inseguimenti di fantasmi, del fantasma» (vol. I, p. 13).

Zeno Cosini, ricevuta dal padre morente la dolorosa, muta conferma della propria inettitudine, tentava di risalire a un ricordo non più inteso come fredda ricostruzione dell’altro, ma al contrario implicante una presa di coscienza dell’io. Ciò che ne risultava, forse, era paragonabile a quello che Heinz Kohut definisce come : un io nell’altro e, al contempo, un altro nell’io.

Il Vascello di Idolina Landolfi, solcando i mari dell’opera paterna, conduce a un esito opposto e complementare rispetto a quello illustrato nella Coscienza di Zeno: l’interna voce dell’io, per riconoscere e far conoscere l’altro, deve prodursi in amorevole esercizio di distanza, in studio accuratissimo di documenti tangibili.

La scelta stessa di comporre una biografia a partire dalle carte editoriali è in questo senso pienamente giustificata. Come Schubert, nella poesia che dà titolo ai due volumi, «Tenta col dito la tastiera: spera / Ritrovarvi il suo segno e la sua voce», finché «S’accozzano gli accordi […] / E da timbrici impasti confortato / il piccolo vascello solca i mari» (China la testa, Schubert, in Viola di morte, 1972), così l’autrice dell’opera scopre le carte del padre, svelando i meccanismi segreti del diuturno, sotterraneo lavoro di scrittura cui Tommaso Landolfi affidò la significazione della propria esistenza, nel tentativo di sciogliere i singoli eventi letterari in continuum pieno di vita.

Pubblicando per la prima volta in volume alcune tra le più significative lettere di Tommaso Landolfi ai suoi editori, Idolina (e, accompagnato da lei, il lettore) ricompone perciò il travagliato rapporto tra il padre e il panorama editoriale dei suoi tempi, con doppio vantaggio. Da una parte, infatti, questi documenti gettano luce non solo sull’opera landolfiana, bensì sull’intero scenario culturale coevo, fornendo le ragioni per le quali Landolfi non riuscì a trovare in vita «un editore che prendesse la sua intera opera “sotto le sue materne ali”, permettendogli così di dedicarsi con animo tranquillo alla scrittura» (vol. I, p. 227). Dall’altra, le lettere illustrano con precisione le evoluzioni del modus operandi di un autore poligrafo, il cui approccio alla scrittura mutò fortemente nel corso degli anni, assecondando le incombenze comportate dalla simultanea attività di narratore e poeta e di traduttore.

Il risultato è un’opera complessa e unitaria, tramite la quale la voce dell’uomo Landolfi, che nell’opera narrativa è sempre disciplinata da un’imprescindibile, programmatica maniera, assume tutta la sua consistenza tangibile e i suoi vivi cromatismi.

A fare da corredo alla biografia landolfiana è, quindi, il secondo volume dell’opera (II. Le opere, i giorni. Bibliografia, pp. 379). Se per Landolfi vita e libro si compongono in sinolo, allo stesso modo la biografia dell’autore si apre ad accogliere la prima bibliografia completa del e sull’autore, che tiene in considerazione, oltre alle edizioni delle sue opere, anche un prospetto esaustivo di tutti gli scritti su Landolfi pubblicati in volume e in rivista tra il 1929 e il 2013. La bibliografia, curata da Idolina stessa fino alla sua scomparsa (2008), è stata portata a compimento grazie al contributo di Monica Marchi e di Giovanni Maccari, al quale si deve anche l’articolo introduttivo (Landolfi, la via del disinganno, vol. II, pp. 15-47), che quasi sembra tirare le conclusioni rimaste implicite nel volume precedente, tratteggiando la parabola letteraria dello scrittore dagli esordi iperproduttivi degli anni Venti e Trenta sino ai lavori forzati del Landolfi autore d’elzeviri per il «Corriere della sera», negli anni Sessanta.

La pubblicazione dei due volumi bio-bibliografici è il punto di arrivo di un progetto ambizioso, lungamente atteso da Idolina Landolfi, che si accinse a lavorarci durante i suoi ultimi anni di vita. Grazie alla ricchezza della documentazione, alla leggibilità, alla completezza della ricostruzione bibliografica, l’opera offre finalmente un riferimento in grado di orientare tutti coloro che si avvicinano, in qualità di studiosi specialisti o di lettori appassionati, a Tommaso Landolfi. Offre, del pari, la testimonianza di una dedizione filiale che, lungi dal rimanere privata, tutta risolta nella dimensione affettiva, si fa potente sprone all’indagine critico-letteraria.

 

 

RECENSIONE DI PAOLA ROCCELLA
(in «Enthymema», n. 12, 2015)

«Il piccolo vascello solca i mari» è il frutto delle assidue ricerche e la scrittura fluente della più tenace studiosa dell’opera letteraria di Tommaso Landolfi, Idolina Landolfi. Il valore del presente lavoro per l’attuale ricerca sull’autore è inestimabile. Da un lato, esso offre la prima mappatura completa della variegata produzione landolfiana e dei contributi critici e mediatici ad essa dedicati. Dall’altro, raccoglie un complesso di dati relativi a edizioni, tirature e vendite di tutto il corpus, da cui emergono alcuni fattori alla base del suo insuccesso presso il grande pubblico. Infine, lasciando trapelare la voce e la personalità dello stesso autore dalle numerose lettere che inframmezzano la narrazione, il lavoro ce ne restituisce un’immagine complessiva di prima mano e ci fa testimoni diretti del suo modo di vivere sia la scrittura che la traduzione.

Il lavoro si articola in due volumi. Il primo, dal titolo A carte scoperte. L’autore e il traduttore: una biografia di Landolfi attraverso il rapporto coi suoi editori, le riviste, il pubblico, i contemporanei, si compone di un lungo saggio di Idolina Landolfi che, attraverso la lettura di numerosi carteggi, apre uno spiraglio su una fase giovanile di collaborazioni vivaci con ambienti culturali e riviste e ricostruisce gli intricati rapporti tra Landolfi e il mondo editoriale dell’epoca. Ripercorrendo le tappe in ordine cronologico, l’indagine prende avvio dal primo e favorevole incontro con Valentino Bompiani (1938-1947) che «davvero teneva ai suoi autori, li favoriva quanto possibile, dimostrando un’ affezione anche eccessiva» (I. Landolfi 40, I) alla lunghissima collaborazione Vallecchi (1938-1972) con cui sigla «la sua condanna-non condanna» (45, I). «Condanna» perché lo destinerà, lui solo tra tutti i contemporanei, a rimanere nell’ombra e a non raggiungere il grande pubblico. «Non condanna» in quanto troppa visibilità e competitività lui, «uomo dell’ombra» (41, I), mal tollerava.
L’espressione «a carte scoperte» (da una lettera di Landolfi a Geno Pampaloni) delinea tutto un modo di operare dello scrittore, arroccato nei suoi princìpi irremovibili di lealtà e consuetudine, animato da onestà e trasparenza. Il quadro tracciato ripercorre vicende di ogni tipo, da smarrimenti di bozze, a solleciti di rendiconti fantasma, vertenze legali, ricatti reciproci, richieste di anticipi, lunghe ed estenuanti attese fino alla pubblicazione di ogni volume e, a culmine, le scarse vendite. Ne emerge la stanchezza e la disillusione dell’autore, quel «cupo avvilimento» (cit. 189 II) che sfocia in rassegnazione e che lo terrà, nonostante tutto, legato alla casa editrice fiorentina fino al suo crollo definitivo.
Anche il volto di Landolfi traduttore emerge dalla presente indagine, con tutte le vicissitudini legate a correzioni di bozze (sempre rifiutate dall’autore, ove possibile), difficoltà interpretative di certe opere o passaggi (memorabile la testimonianza sul Leskov da lui definito «intraducibile» [cit. 206, I]), la reticenza nel tradurre testi lunghi in prosa («pietre tombali» [cit. 209, I] che all’autore richiedevano «una fatica almeno doppia» [cit. I. Landolfi 203, I]), la reazione di rigetto nei confronti del prodotto finale e degli stessi autori tradotti («l’odiato Puskin» [cit. 185, I], il «diabolico» Leskov [cit. 206, I]). Le testimonianze presentate, inoltre, delineano una certa modalità del tradurre landolfiano improntata a rendere «il piglio» (cit. 33, II) di un testo («Non tanto riprodurre un contesto, quanto un contesto armonico» [cit. 179, I]). Più che una resa dei testi originali, la traduzione di Landolfi si configura come scrittura ‘ricreativa’, per cui le sue versioni apparivano, e venivano compensate, come vere opere di prima mano.
Il primo volume è poi corredato da alcune preziose appendici. Un dettagliato resoconto sulle edizioni, tirature e vendite delle opere, in particolare, evidenzia l’abissale scarto tra i dati di vendita di Vallecchi, Rizzoli e, successivamente, Adelphi, a conferma del fatto che la sfortuna di pubblico dell’autore non è da attribuire alla sua inaccessibilità letteraria, ma all’assenza materiale dei suoi lavori dalle librerie (sconfortanti i numeri sui volumi mandati al macero).
Molto preziosa per lo studioso di Landolfi, inoltre, è la “Cronologia di tutte le opere per data di composizione”, elaborata a partire dalle indicazioni dello stesso autore in calce ai manoscritti. Tale strumento consente uno sguardo più attendibile alla successione delle opere (soprattutto nel caso di opere scritte e pubblicate a anni di distanza), i tempi e luoghi di stesura, nonché le modalità di raccolta di racconti e articoli.

Il secondo volume, dal titolo Le opere, i giorni. Bibliografia è introdotto dalla prefazione “Landolfi, la via del disinganno” di Giovanni Maccari. Il testo si intreccia al saggio di Idolina Landolfi contenuto nel primo volume, ma offre una panoramica più generale ripercorrendo fatti personali legati all’attività letteraria dell’autore e ricostruendo, al contempo, alcune linee direzionali all’interno della sua produzione. Maccari traccia la genesi dei racconti di Landolfi, a partire dalla fase materiale di scrittura (indicative le osservazioni sulla «disinvoltura operativa» [Maccari 18, II] di Landolfi), il passaggio in rivista, la pubblicazione in volume e, infine, la ricezione da parte della critica. La triplice fase di «avvicinamento, crisi e distacco» [Maccari 20, II] di Landolfi al romanzo è, inoltre, ripercorsa attraverso uno sguardo alla sfera biografica e correlata al ribaltarsi del rapporto tra scrittura e mestiere.
All’interno del medesimo volume, segue la bibliografia completa delle opere di Landolfi (inclusiva di romanzi e racconti, antologie, traduzioni, elzeviri, testi sparsi) e un elenco completo di studi critici, suddiviso in saggi e articoli, volumi, traduzioni e una rassegna degli adattamenti teatrali e cinematografici, dei convegni e dei tributi figurativi all’autore. La bibliografia della critica, realizzata da Idolina Landolfi fino al 2006, è stata aggiornata al 2013 da Monica Marchi. Questo rende il lavoro non solo uno strumento straordinariamente completo, ma anche aggiornato sullo stato della critica landolfiana, e, pertanto, un contributo prezioso per gli studi in corso sull’autore e quelli a venire.

Il quadro che ne emerge, da un lato, rivela le radici della maggiore contraddizione intorno la figura di Landolfi: autore riconosciuto all’unisono dal mondo intellettuale, ma sconosciuto al grande pubblico (fino alla postuma valorizzazione da parte di Adelphi). Dall’altro, ridimensiona la classica immagine di un Landolfi interamente disimpegnato, isolato e privo di lettori, alla luce dei suoi ferventi rapporti di amicizia e collaborazione con un dinamico circolo di intellettuali, scrittori e artisti, durante gli anni giovanili di Firenze e Roma. Il progressivo chiudersi nella sfera malinconica e solitaria della sua amata Pico, in una scrittura sempre più intima e, al tempo stesso, versatile, possono, quindi, essere letti come graduale risvolto di una serie di eventi biografici, difficoltà materiali e frustrazioni nel suo mestiere di scrittore (da cui l’idea ricorrente di aver intrapreso «una carriera sbagliata» [cit. 45, I]).

Il lavoro è redatto in una lingua fluida e, per certi versi, affettiva. Il resoconto della produzione letteraria dell’autore e dei suoi legami con gli ambienti dell’epoca sono affidati, da un lato, alla voce stessa di Landolfi, attraverso le numerose testimonianze; dall’altro, alla voce di Idolina, che è critico lucido e imperturbabile, ma anche figlia devota, dalla cui scrittura non possono che trapelare stima e adorazione verso il padre, insieme alla volontà di riscatto della sua memoria e opera letteraria.

Il presente studio, infine, collocandosi sulla scia di alcuni contributi precedenti, tra i quali la “Cronologia” e il nutrito corredo di note di Idolina Landolfi in Opere I e Opere II, e il sintetico profilo critico di Giuseppe Montesano, “Rassegna di studi critici su Tommaso Landolfi (1937-1978)”, lancia degli stimoli fertili per la critica a venire. Come osserva Maccari, la complessità dell’opera landolfiana ha reso arduo il lavoro della critica, ostacolando ogni tentativo di catalogazione unitaria e favorendo, invece, il fiorire di studi dal carattere occasionale e circoscritto. Donde, l’assenza, ancora oggi, di un’opera veramente compiuta sull’autore. Questo lavoro, a coronamento della ricca critica precedente, ne fonda sia le premesse che gli strumenti di realizzazione.