L’azzardo felice – il “Preferirei di sì” di Tommaso Landolfi

di VALENTINA GIANFRANCESCO
 

 

Qualche mese fa lo scrittore americano Philip Roth, quasi ottantenne e con trentuno libri alle spalle, ha dichiarato la sua resa bartlebyana alla penna.
Un post-it sul suo computer gli annuncia che la lotta con la scrittura stava volgendo a una conclusione  e che d’ora in avanti, finalmente, avrebbe potuto “godersi la vita”. «So che non riuscirò più a scrivere bene come scrivevo prima. Non ho più la forza per sopportare la frustrazione. Scrivere è una frustrazione, una frustrazione quotidiana, per non parlare dell’umiliazione». Quasi a voler giustificare il proprio gesto, Roth elenca le pene del mestiere di scrittore e ricorda un cavaliere in pensione, il cui destino, ormai tristemente segnato, lo consegna a una vecchiaia tutto sommato tranquilla in compagnia della sua spada spezzata.
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