Quarta d’autore N° 2
Luca Lenzini presenta La pietra lunare
Tommaso Landolfi aveva da poco compiuto trent’anni quando da Vallecchi apparve uno dei suoi capolavori, La pietra lunare (1939): un racconto che nel paesaggio novecentesco si colloca su un terreno solo ed esclusivamente suo, ben distante dalle rotte più battute della narrativa italiana del tempo; tanto distante da sembrare un monolite proveniente da altri mondi. Proprio per questo la storia di Giovancarlo e Gurù, sospesa tra realtà e fantasia, mito e metapoesia, ad ogni rilettura non finisce di stupire, come se con il passare degli anni e dei decenni il suo lessico scintillante e straniante e la sua magia affabulatoria non solo non avessero perso di smalto, ma anzi si rivelassero come i riverberi senza tempo del «minerale splendore» che Vittorio Sereni aveva a suo tempo ravvisato nell’opera landolfiana. Lettore dei classici e soprattutto dei russi, il giovane scrittore dichiarava con i fatti la propria natura «negromantica», per usare il termine con cui egli definì la poesia di Puškin: quel che parve a Gianfranco Contini un «ottocentista eccentrico in ritardo» era già un moderno tra i più oltranzisti. Con le sue calibrate cadenze narrative e le concomitanti e calibrate effusioni liriche, le sue memorabili scorribande nelle regioni ctonie come nelle contrade dell’onirico e del carnevalesco, La pietra lunare continua a dar ragione al giudizio di chi vi ha riconosciuto «una vera e propria irruzione di grazia» (Andrea Zanzotto).