Di seguito si propone l’articolo landolfiano di Niccolò Galmarini, critico e traduttore, recentemente insignito del Premio Raduga per le traduzioni letterarie dal russo.
 

Tommaso Landolfi rappresenta un vero unicum, nonché una delle figure più interessanti e complesse del Novecento letterario italiano. A contribuire all’assoluta originalità di Landolfi hanno senza dubbio concorso la sua formazione da slavista e il rapporto con le lettere russe, che lo accompagnarono per tutta la vita, dagli anni fiorentini alla maturità, quando l’attività di traduzione, seppur guardata con insofferenza, fu il suo principale mezzo di sostentamento, oltre a costituire uno dei campi in cui la grandezza di Landolfi si manifestò con maggior fulgore. Nella sua opera scrittura “originale” e scrittura “tradotta” appaiono in costante dialogo e possono essere considerate e studiate in quanto espressioni di una comune sensibilità letteraria; lo dimostrano non solo le scelte traduttive operate da Landolfi, ma anche i molteplici parallelismi fra i testi da lui tradotti e la sua produzione originale in italiano, spesso segnati da contiguità cronologica (1). Di fatto, pur nel rispetto del criterio filologico e della specificità dell’opera di ciascun autore, la traduzione è sempre stata per Landolfi parte integrante del processo creativo.
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