“Fratelli maggiori” di Davide Ruffini

 

Pubblichiamo il racconto di Davide Ruffini Fratelli maggiori, apparso nell’Almanacco Quodlibet 2019 curato da Ermanno Cavazzoni, che ha per protagonista Tommaso Landolfi. Ringraziamo l’autore e l’editore per la gentile concessione.

 

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È ormai da qualche anno che ho aperto una palestra per scrivani nel cuore del mio paese, in un capannone abbandonato davanti casa mia… sapete com’è: in provincia non succede mai niente. Si diventa innovativi.

Si chiama così, palestra per scrivani, perché a me e agli altri abbonati che vengono piacerebbe imparare a scrivere sotto la dettatura di qualche satanasso che ci illudiamo alberghi dentro di noi; alla fine, però, dispiace dirlo, ma non scriviamo molto, delle volte facciamo delle riunioni che non scriviamo nemmeno un rigo o perché aspetta aspetta nessuno ci viene a dettare niente o perché quelle rare volte che un satanasso si decide a farsi vivo davvero e scampanella per richiamare la nostra attenzione, spesso gli rispondiamo picche, prendiamo la scusa che abbiamo da fare, che ritorni più tardi, o non gli rispondiamo proprio, preferendo continuare a passare le riunioni a fumare e a tirar di briscola o ramino. Di fatto, come ha detto un brav’omo che è venuto qualche settimana e poi non si è fatto vedere più, dopo un po’ di tempo, qui, nella palestra per scrivani, più che a imparare a scrivere, si disimpara… perfino a leggere. E non c’è da protestare più che tanto: non manca chi tra di noi già dal secondo mese di frequentazione ha iniziato a scordare finanche l’alfabeto – ma non illudetevi nemmeno voi sul valore della palestra: quelli sono proprio i più dotati; gli altri al massimo dimenticano i già tanto scivolosi nomi di moglie e figli. E tirano avanti lo stesso.

Di giovedì pomeriggio faccio le auscultazioni. Mi metto nel bugigattolo vicino al camino con il fuoco dipinto, in palestra, e ascolto le esigenze utopiche delle persone. Siccome ormai Dio è morto, Marx pure e nemmeno lo Stato si sente molto bene, la gente ogni tanto ci vede come l’ultima spiaggia e, nonostante noi siamo in realtà in alto mare, ci chiede proprio dei lavori, spesso anche dei lavori letterari come scrivergli biografie immaginarie, litografie a parole, necrologi veritieri, libretti dei morti, iscrizioni tombali, agiografie, poemetti in versi per il datore di lavoro o la segretaria anziana, fondazione di mondi alternativi e religioni nuove più a buon mercato – oppure ci chiede dei consigli per riuscire ad apparire alla madonna come il Graziato leccese o emanare profumi balsamici dopo morti.

Come potete facilmente immaginare, c’è pieno così di gente che vuole i nostri servizi o in subordine vuole abbonarsi alla palestra. Naturalmente è difficile accontentare tutti, così è assai frequente che non accontentiamo nessuno. È una questione di giustizia sociale.

Giovedì scorso è venuto un tipo che non era mai venuto prima. Era un tipo anziano, sui settant’anni, forse qualcosa di più. Distinto nelle maniere, con cappello, paltò, bastone da passeggio, giacca e cravatta; certo un po’ stracciati, questi vestiti, specie sulle orlature, consumate, ma non così tanto da sembrare un barbone. Ho subito pensato a un anziano di quelli con la pensione ridotta all’osso; di quelli che aiutano i figli scapestrati a drogarsi o non muovere un dito. Gli occhi erano vividi ma incassati in una cornice come dire eterea. Come un volto alla fine del mondo. Una fisionomia nota, d’altronde, che più si avvicinava più mi sbalordiva.

Toltosi il cappello e sedutosi su uno sgabello lì a disposizione, mi ha detto, sorridendo rivolto all’insegna utopica: «Bene, giovinotto, eccoci qua, allora!»

«Eccoci qua», gli ho detto io, «che è già tanto… Lei sarebbe?»

«Mbè, francamente, pensavo mi avesse riconosciuto già sulle prime ma… ma vedo che è un po’ lento.»

«Ma, devo dirle, in effetti lei mi ricorda qualcuno…»

«Mbè sì, dovrei, Io… ma quante volte ho scritto questo dannato pronome… io»

«Ma lei è…»

«Sono?…»

«Tommaso Landolfi!»

«Alla buon’ora… bene! Sono anche morto, lo sa, sì?»

«Certamente, lei è morto a Ronciglione, in provincia di Viterbo, l’8 luglio del 1979… non proprio un morto fresco, mi lasci dire… un morto ormai quasi remoto ma si mantiene abbastanza bene… ed anche i vestiti!»

«Quelli erano mantrugiati e consunti già da vivo. Li comprai tantissimi anni fa dopo una fortunata spedizione al gioco… Ma mi dica, piuttosto, il fatto di parlare con un morto quasi remoto non la…»

«Suvvia, maestro, suvvia!, ma proprio lei mi viene a fare certe domande: sa meglio di me che al mondo succedono cose ben peggiori e straordinarie che parlare con i morti… solo che sono onorato davvero della sua visita! E mi duole accoglierla in questo bugigattolo… Come saprà, lei per me… e io ho letto tutto…»

«Va bene va bene… non sono venuto fin qui per farmi incensare da un giovine, vieppiù di belle speranze. Sono qui per richiamarla ai suoi doveri!»

«Addirittura! I miei doveri…?»

«Addirittura, sì. I suoi doveri!»

«Parli pure maestro!»

«E basta con questo maestro! Io non ho mai voluto avere né studenti, né allievi, né discepoli, né adepti!»

«Perfettamente d’accordo, signor Landolfi… o come devo?»

«Mi chiami signor morto remoto»

«Va bene, signor morto remoto»

«Allora, lei dovrebbe ricordare che in un mio vecchio scritto, quello sceneggiato diaristico, mi verrebbe da dire…»

«LA BIERE DU PECHEUR

«Esattamente, nella BIERE, sì, nella bara… io scrissi di alcuni spiritelli, di alcuni fantasmi anomali, diciamo, che…»

«Non riuscivano la vita a conseguire! I nonnati!»

«Esatto sì ma ora basta! Lei mi ha già stancato e non son passati che cinque minuti! mi faccia parlare, dannato giovinastro!», sbottò – giustamente – Landolfi.

«Mi scusi, signor morto remoto.»

«Orbene. Lei allora ricorderà che in quello scritto soprannomato Il pozzo di San Patrizio io positivamente asserivo che vi sono due tipi di fantasmi: quelli che hanno già vissuto e quelli che ancora devono vivere. Gli spiriti che non sono riusciti a nascere, che sono rimasti sulla soglia, sul limitare della porta, e non sono mai entrati alla vita sono in una specie di limbo. Avevo per giunta dato loro un nome, come lei ha tanto sgraziatamente ricordato: i nonnati per l’appunto…»

«Certamente, ricordo bene. Bellissimo pezzo! Bellissimo! Bravo signor morto remoto!»

«Molto bene. Mi faccia concludere: nello scritto aggiungevo, e non era celia, che molti di questi nonnati bussavano alla mia porta per avere da me… per avere da me vita. Salvezza. Ovvero che gli dessi una forma qual che sia, nella mia scrittura, sì da scioglierli dalle loro catene, liberarli da quello stato di larva in cui versavano… ebbene, questo era tutto vero! non era affatto una fantasia vagamente pirandelliana come si potrebbe pensare. Essi fantasmi venivano davvero a cercarmi. Una volta morto, però, una volta che anche io fossi diventato un fantasma – dell’altra specie, quella dei vissuti e morti, certo, ma pur sempre un fantasma – lei mi capisce, pensavo si sarebbero rivolti altrove. Mi segue?»

«Mi sta dicendo che continuano a cercarla anche in… morte?»

«Più o meno. Non avendo essi conseguito la vita, non ne hanno contezza. Laonde, non hanno contezza nemmeno della morte. Sicché, confusi come sono e rifacendosi magari a qualche consiglio di altri confratelli, la vengon da me… ma pochi pochi, ormai, perché scappo bene. Qualche tempo fa, me ne stavo tranquillo nel mio cantuccio d’Inferno quando mi hanno avvicinato due nonnati che proprio non trovavan pace e che hanno finito per toglierla anche a me… Qui entra in gioco lei.»

«Io? Ma in che senso, non capisco…»

«Li vede questi due?» e dalla tasca tirò fuori due barattoli che si usano per le conserve dei sughi. Vuoti. Ma pieni come di schiuma di pomodoro rimasto lì dopo la bollitura. E li mise con gran cura e molta delicatezza sul mio tavolaccio.

«Li vedo… ma sono due barattoli…»

«Stia zitto, per favore! Questi due vasetti contengono i nonnati di cui sopra. Ho durato fatica a metterli dove sono. È stata una lunga lotta. Non potranno rimanervi troppo a lungo, lo sappia sin d’ora. Tra non molti giorni inizieranno lentamente a colarne fuori come acqua bollente in una pentola a pressione. È una sede provvisoria.»

«Continuo a non capire, maestr… morto remoto.»

«Quanti fratelli ha lei?»

«Due.»

«Io so che ne ha quattro.»

«Come quattro?»

«Quattro: due minori, due maggiori.»

«Si sbaglia, morto remoto, ho due fratelli minori! Sono primogenito.»

«Niente affatto. Lei non è primogenito… o forse le devo rammentare io che la sua povera madre, prima di dare alle tenebre lei, ebbe due aborti dolorosi e naturali… due aborti in casa. Eccoli qua, i suoi due fratelli maggiori. In questi bei vasetti…»

«Mah!…», trasalivo.

«Concordo con lei che sarebbe stato più acconcio portarglieli in urne debitamente funerarie ma capirà bene che primo essi non son di cenere, secondo che non sono mai morti, terzo che da lì sarebbero sgocciolati via più facilmente mentre, in appositi vasetti sottovuoto, la loro prigionia è più duratura ed efficace… Orsù, io devo andare! Si metta all’opera con i suoi fratelli maggiori. Avrà molto da raccontargli!»

«Ma come? Ma scusi? Come sa che son proprio loro.»

«Sono loro. Senza ombra di dubbio. Glielo assicuro. Delle mie entrature celesti può fidarsi. Non sarei sceso certo qui senza le giuste informazioni… e poi scusi non assicurate forse alla gente servizi utopici?»

«Sì ma… qui c’è in ballo dell’altro e io… non ho granché voglia d’avere a che fare con dei fratelli invasati ossia in vasetti sottovuoto… mi scusi…»

«Figli, fratelli e grulli chi l’ha fatti se li trastulli! Eppoi, la dia retta, caro vivo remoto, se non lo vuole fare per i suoi fratelli maggiori – ché in lei il senso della famiglia, almeno quella spirituale, mi pare scarseggi – lo faccia per sé stesso. Il loro peso di nonnati grava anche su di lei, sulla sua povera esistenza. Non se ne rende conto? Non sente quanto soffoca in lei la vita? quanto langue il suo senso vitale? D’altronde, pure lei… per poco non è tra questi suoi fratelli maggiori… non dovrò certo rammentarle anche la storia della sua di gravidanza, nevvero? Si liberi prima di loro. Dia loro vita. E a poco a poco ne avrà una più proficua e meritoria pure lei.»

«Ma c’è che io ad avere una vita più proficua e meritoria non ci penso proprio per niente… eppoi non saprei nemmeno da dove iniziare… non potrebbe rivolgersi a qualche suo collega più titolato? A qualche scrittore vero?»

«I miei colleghi son tutti morti, come me. Non c’è più nessuno. Andrà benissimo lei, invece! Non le sarà difficile inventar qualcosa partendo dal suo stesso terreno famigliare. Inizi da dove le pare! Inizi finanche dall’inizio! È libero! E poi qui c’è addirittura una palestra per scrivani! Si faccia aiutare dagli altri, come dite oggi, palestrati e soprattutto aiuti il sangue del suo sangue… vabbè mi scusi, l’anima della sua anima a trovare un po’ di eterno riposo… se lo meritano anche loro, non crede? Su, si metta all’opera. Io debbo accomiatarmi… l’Inferno mi chiama. Addio!»

«Ma un momento… eppoi dove va lei? Inferno. In che girone?»

«Reparto vorrà dire! e secondo lei?»

«Reparto violenti contro sé stessi… scialacquatori!»

«Ah che mente banale è lei! Laggiù è tutto molto più raffazzonato e caotico di quanto non abbia descritto il nostro illustrissimo antenato che d’altronde aveva le sue esigenze estetiche cui badare. È molto più, come dire, alla rinfusa, all’italiana, il vero Inferno…»

«Ma lei scusi va e viene a suo piacimento?»

«Avrò pur diritto a qualche licenza poetica o no?»

Detto questo, si rimise il cappello e voltati i tacchi uscì garbato dalla palestra. Facendo quasi un sorriso… sul limitare della porta.

***

Vedete poi che tipi curiosi arrivano qui da me. Che richieste mi fanno. Ora sono davanti al mio tavolaccio, con questi due vasetti davanti, e rabbrividisco al solo guardarli, così schiumosi, così bavosi; indeciso come sono se buttarli nel bidone dell’immondizia o magari metterli in lavastoviglie… Oppure se dar fiducia a quel vecchietto fuori di testa, aprirli piano piano e scrivere davvero dei miei fratelli maggiori, la loro faccia che immagino tanto simile alla mia, le loro inclinazioni, i modi di guardare, la gioia di mia madre che li accoglie in casa, appena usciti dall’ospedale, mio padre che ancora un po’ sporco di calce li depone nella culla, il camino che fischia nel buio, la finestra che guarda, le voci senza senso dei parenti, i primi compleanni, i pianti dei bambini che si sgolano…